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Commento
30 anni di Dsquared² – L’eccesso celebra il suo anniversario

Come Dean e Dan Caten hanno creato un’estetica che consuma sé stessa.
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Apple iPad Pro M5 2025 showing 3D graphics rendering performance – official press image © Apple Inc.
Behind the Stage
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Il sudore sembra spruzzato, i glitter sembrano usciti dall’archivio: Dsquared² celebra il suo trentesimo anniversario – e l’ebbrezza di un tempo ha perso il suo calore. Il fuoco di allora si è irrigidito in posa.

La fine della provocazione

Ciò che un tempo sembrava una trasgressione è ormai routine. Due uomini che si baciano sotto i riflettori sono diventati un simbolo innocuo, quasi decorativo. La nuova campagna di Mert & Marcus richiama un’epoca in cui Dsquared² era l’opposto della moderazione: rumorosa e febbrile. I fotografi premono l’otturatore, ma lo scatto non esplode. Allora il marchio rappresentava un desiderio queer e sicuro di sé per l’eccesso – energia invece che posa. Oggi questo linguaggio appare come la citazione di sé stesso, un gesto che nessuno vuole più decifrare perché ha perso la sua forza e giace impolverato nell’archivio delle pose.

L’eco degli anni Duemila

Fondata nel 1995 dai gemelli canadesi Dean e Dan Caten, Dsquared² divenne nei primi anni 2000 ciò che Diesel era stato negli anni ’90: un marchio capace di incarnare un certo modo di vivere. Mentre Diesel rappresentava ironia, polvere e anticonformismo, Dsquared² era sinonimo di notti in discoteca, culto del corpo e mascolinità eccessiva. Entrambi vivevano della promessa di libertà – l’idea che l’abbigliamento potesse offrire una fuga dal mondo dei benpensanti. Ma quella promessa si è esaurita. L’eccesso è diventato un principio di design, la ribellione una strategia di marketing. Ciò che un tempo era pericoloso è ormai calcolato e prevedibile.

La perdita di controllo inscenata

Le nuove immagini della campagna FW25 sono tecnicamente solide, ma prive di anima. Ogni ombra è costruita, ogni gesto impostato. Ciò che un tempo nasceva dalla gioia della spontaneità è ormai soltanto la sua ombra commerciale. Il caos necessario alla vera ispirazione esiste ormai solo come effetto di luce. Il sudore brilla come un ornamento – un tempo colava davvero, oggi sembra generato in CGI. Il desiderio è esteticamente coreografato. È una perdita di controllo messa in scena, in cui la luce illumina soltanto la propria innocuità. Il marchio finge di abbracciare la notte, ma questa non è che un’altra scenografia nello studio fotografico.

L’energia esaurita

Questo tipo di messa in scena della moda, svuotato da infinite ripetizioni dello stesso placebo scandaloso, si è ormai logorato – non solo per Dsquared². Anche Diesel ha cercato di salvare la propria forza nel nuovo millennio collaborando con Nicola Formichetti, lo stylist di Lady Gaga. Formichetti ha portato con sé pop, fluidità di genere e ironia digitale, ma si è scontrato con lo stesso problema di fondo: la provocazione non è sostenibile, non si conserva, e con ogni ripetizione chiede dosi sempre più forti. Vive del conflitto, e solo finché c’è qualcosa da rompere. Oggi però quasi tutti i contrasti sociali sono stati discussi e appianati. I pochi rimasti – la guerra e la disuguaglianza – non si possono tradurre in immagini pubblicitarie. La ribellione di Dsquared², un tempo immersa nel glitter, è diventata una cornice vuota priva del suo quadro.

Lo spettacolo come sostituto

Per il trentesimo anniversario, i gemelli Dean e Dan Caten hanno trasformato un magazzino milanese in una sfavillante rivista dei propri miti: Naomi Campbell, Doechii, pattinatori, cowboy, uniformi NYPD – e Brigitte Nielsen come poliziotta che li ammanetta entrambi. Uno spettacolo di citazioni – da Cher a Tom of Finland, dal glamour al kitsch. Il palco odorava di benzina, il sudore di profumo. Dsquared² non ha celebrato l’eccesso in sé, ma il ricordo di esso. Tutto era perfettamente coreografato. L’unico rischio rimasto era quello di non rischiare più nulla.

Dietro le quinte

Sotto la superficie levigata comincia il fruscio incrinato della realtà. In ottobre Dsquared² ha annunciato il licenziamento di circa quaranta dipendenti – ufficialmente a causa di “sfide profonde e complesse”. Un eufemismo per un calo che riguarda ben più dei numeri. Mentre il marchio continua a parlare di eccesso e spensieratezza, la lotta si è spostata all’interno. Ci sono controversie legali con Renzo Rosso sui diritti di licenza e la solita parola d’ordine: “We want to have fun and be ourselves.” Ciò che un tempo suonava come convinzione ora sembra un motto di resistenza di un sistema che consuma la propria energia.

Libertà come scenografia

Ma la stanchezza va ben oltre Dsquared². La moda ha perso la sua capacità di resistenza perché non ha più nemici. È diventata semplice abbigliamento. Tutto è ormai permesso, ogni estetica legittimata, ogni atteggiamento commerciabile. Perfino la sovversione è diventata una tendenza stilistica. Resta un’industria che lotta con ogni mezzo per l’attenzione, ma produce sempre meno significato. Dsquared² continua a ballare, ma il ritmo viene dal passato. La festa che non doveva finire è ormai più rito che mito. Il marchio celebra i suoi trent’anni, ma suona come una cover band di sé stesso. Dsquared² vuole essere la fiamma – senza accorgersi di essere solo il fiammifero ormai consumato.

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